L’azione dello Spirito è consentita proprio dall’obbedienza. Oppure è impedita dall non obbedienza. A volte può trattarsi di un’obbedienza anche faticosa, contrastata, dolorosa, che costa, ma che pure, dice la Regola, ha un effetto di liberazione: liberazione dal soggettivismo e liberazione delle facoltà intellettuali.
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Dietro a ogni sì totale, irrevocabile e libero vi è una storia lunga e impegnativa che riguarda la fede del singolo, la responsabilità della comunità e la qualità delle relazioni e dei comportamenti che essa mette in atto, ma in particolare, riguarda il discernimento vocazionale, la valutazione attenta della qualità umana, creaturale della persona che chiede di entrare nella vita monastica, e poi, soprattutto, la formazione.
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Ci sono dimensioni della nostra vita che con il passare del tempo possiamo, anche inavvertitamente, arrivare a dimenticare, a tralasciare, a non includere più nel nostro vissuto, a non ritenere più costitutive dalla vita monastica. Se le dimentichiamo, infatti, significa che esse non esistono più per noi e noi viviamo e ci comportiamo senza tenerne conto, come se non fossero essenziali.
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L’alleanza monastica passa anche attraverso la reale cooperazione e collaborazione comunitaria, a misura delle forze e capacità personali, rispettando le età e le debolezze di ciascuno, ovvero passa anche attraverso l’assunzione come proprio del lavoro che in comunità viene affidato. Chi non assume con serietà il lavoro sottomettendosi a questa obbedienza quotidiana, rivela la propria carenza di qualità monastica.
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