La nostra natura umana (questo indefinito miscuglio della nostra anima e del nostro corpo) “sa”, con un’incredibile perspicacia che travalica i concetti, che la pienezza di vita si ottiene soltanto nella reciprocità della relazione. Nella reciproca e integrale offerta di sé. Per questo la nostra natura investe nell’eros tutta la sua sete, abissale, di vita. Sete del corpo nostro e dell’anima nostra.
La lettera a Tito esorta i giovani alla ponderazione (Tt 2,6), cioè capacità di riflettere, di pensare per acquisire sapienza e discernimento. Sì, pensare, prestare attenzione ai moti del proprio cuore pensieri che più invadono la propria mente, rileggere alla sera propria giornata, non è facile. C'è una sorta di istintivo rigetto ripulsa nei confronti della vigilanza su di sé, del guardare in faccia se stessi e ciò che abita il proprio cuore, che è paragonabile al rifiuto veemente che il corpo oppone alla fatica e alla sofferenza.
Fino a quando Cristo non inizia a operare il cambiamento interiore venendo ad abitare al posto del nostro ego, a unire a noi le sue qualità e a inserirci tra le fila di coloro che attendono il loro turno celeste, saremo in realtà semplici coloni terrestri, e la nostra nostalgia del cielo resterà una semplice nostalgia. Dobbiamo rivestirci del Signore ora, perché è un diritto che abbiamo acquisito nel battistero “poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo” (Gal 3,27). Dobbiamo praticare questo mistero quotidianamente.
La maggior parte di noi è inquieta, se non addirittura smarrita, quando ci appare, in modo più o meno brutale, la nostra debolezza. Alcuni arrivano perfino a fuggire: bisogna aver già una certa esperienza dell'amore di Dio per osare permanere nella debolezza e riconciliarsi con il proprio peccato.
Lo Spirito Santo, che “soffia dove vuole” e di cui non si sa “né da dove viene né dove va” (Giovanni 3,8) è come uno sconosciuto nella confessione di fede dei cristiani…. Resta circondato da un profondo mistero. Ma il quarto Vangelo ci rivela che, pur se il mondo non conosce lo Spirito Santo, visto che non può riceverlo, i credenti invece lo conoscono, “perché egli dimora presso di loro e sarà in loro” (Giovanni 14,17).
La liturgia educa il credente alla preghiera indicando anzitutto il primato dell’ascolto della parola di Dio contenuta nelle Scritture. Affermare che nella rivelazione giudeo-cristiana l’ascolto è dimensione essenziale e costitutiva della preghiera, significa relativizzare la parola dell’uomo, ponendola come atto secondo, come risposta.
La preghiera non è l'occasione per domandare a Dio ciò che concerne la carne (cf. Rm 8.7; Gc 4.3), ciò che ottiene il benessere, che facilita il tuo lavoro e procura il successo alle tue iniziative temporali. Devi quindi presentare le tue preoccupazioni nella preghiera in una prospettiva spirituale