“Porta in te il pensiero della morte”, ci dice tutta la tradizione ascetica. Allorché rammentate queste parole a un uomo d’oggi, egli le rifiuta: “come? Devo vivere per tutta la vita, la mia lunga vita d’uomo, nell’orrore della morte che verrà? Tutte le gioie devono essere avvelenate dalla certezza che avranno fine? Ogni amore deve essere terrorizzato dall’idea della sua perdita?
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Vivere nell’attesa del ritorno del Signore non è fuga dalla storia: è vivere più pienamente la storia nell’orizzonte del suo destino ultimo. L’atteggiamento evangelico della vigilanza fonda così un’etica del discernimento: chi attende il Signore si sa chiamato a vivere responsabilmente ogni atto alla presenza del suo Dio, e comprende che il valore supremo di ogni scelta morale sta nello sforzo di piacere a Dio e di santificare il suo Nome compiendo la sua volontà. Dio, quale orizzonte ultimo e patria vera, diviene il criterio della decisione morale;
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Per essere uomini autentici, per fare della propria vita un capolavoro, è invece necessario fare discernimento delle parole, delle proposte, delle presenze dominanti e interrogarsi... Il giovane del racconto di Marco è uno sconosciuto, sappiamo solo che era giovane (come appare dal racconto parallelo di Mt 19,16-22: cf. vv. 20-22), ma siccome si interrogava sul senso della vita si è accorto del passaggio di Gesù e lo ha interrogato, si è arrischiato a porre delle domande a quel rabbi che passava. «Maestro buono - gli ha chiesto - che cosa devo fare per ottenere la vita per sempre?».
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